di Natalia Lombardo
Prima Comunicazione – gennaio 2018
“I produttori dovrebbero avere più coraggio, non pensare solo al profitto ma svolgere il compito che ebbero i grandi editori e diffondere cultura, perché gli autori di film, fiction e documentari stanno sostituendo il ruolo che fu degli intellettuali vent’anni fa. Non mi pare sia così nel panorama italiano”. Lei, Gloria Giorgianni, ci sta provando con Anele, società di produzione cui ha impresso un quid documentaristico ma anche storico e letterario, nel segno della tradizione della sua famiglia, gli editori Sellerio. Scelta non facile e l’ammonimento della zia se lo ricorda bene: “Elvira, la mia grandissima zia, mi diceva sempre: non puoi permetterti di essere cretina, neanche di far finta di esserlo. Anni dopo ho capito quanto contasse questo per una donna, andare avanti con Ie proprie idee. Che è poi quello che ho fatto”, racconta. Palermitana, bionda dagli occhi verdi di ascendenza normanna, dai tratti gentili ma decisa e tenace, seppur con leganza, è figlia di un fratello di Elvira Giorgianni, che insieme al marito Enzo Sellerio, Leonardo Sciascia e Antonio Buttitta ha creato la casa editrice che ha fatto conoscere nel mondo la Sicilia e tanti suoi autori tra cui Andrea Camilleri. Proprio con lo scrittore siciliano Anele ha prodotto la serie “Donne”, dieci puntante da dieci iuti ciascuna in onda su Rai 1 dopo il Tg1 e prima di “Techetechetè”, tratta dalla raccolta omonima di Camilleri edita da Rizzoli e trasmessa anche online sulla piattaforma Rai. Un importante esperimento per la serialità della tv di Stato: ascolti in costante crescita, quasi 5 milioni di spettatori, superato il 20% di share.
Giorgianni ha cominciato a lavorare in tv a 22 anni con Enrico Deaglio, 12 anni è durato poi il suo impegno alla Palomar, prima “a fare caffè e fotocopie”, poi come editor e producer del fondatore, quel personaggio roccioso che è Carlo Degli Esposti (“a cui”, dice, “devo molto, ma anche lui a me”). Poi il salto da sola per “misurarmi con prodotti di contenuti come i doc. Degli Esposti non era d’accordo”, racconta, “ma spero che prima o poi faremo qualcosa insieme”. Così nel 2013 Gloria Giorgianni fonda Anele, il nome della mamma Elena al contrario, per ricordarla da viva e prima della malattia, libera nelle ali di farfalla impresse sul logo. Tutti le dicevano “sei pazza”: “scoraggiatori militanti”, li definisce. Per cominciare la sua impresa nessun finanziamento speciale, ma “tutta la mia liquidazione”. Ora lavora con Tore Sansonetti ed è entrata nel consiglio direttivo dell’Apt (l’Associazione produttori televisivi: ndr).
Nel settembre scorso è andata in onda su Rai 1 la serie “Nel nome del popolo italiano”, storie di grandi personaggi vittime della mafia e del terrorismo: Vittorio Occorsio, Piersanti Mattarella, Marco Biagi e Natale De Grazia. “Un successo di ascolti per un lavoro di vero servizio pubblico che sarà divulgato in tutte le scuole d’Italia, grazie al progetto promosso dalla Luiss per la cultura della legalità insieme a Miur, Csm, Anac e al dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio”.
Prima – È stato difficile affermarsi sul mercato? Anele riuscirà a espandersi?
Gloria Giorgianni – All’inizio ho lavorato in modo oculato, puntando sulla qualità e spese basse. Solo adesso ho un ufficio – in Prati, a Roma – e lavoro con due persone. Però Anele è cresciuta, adesso stiamo discutendo la partnership con una grossa società, la Indiana Production. Fabrizio Donvito ha una bella produzione sia nel cinema sia nella fiction, ma dei progetti è prematuro parlare.
Prima – Trovare finanziamenti e sostegno per una piccola società è un affare complesso.
G. Giorgianni – È molto importante il tax credit interno, ora esteso anche all’audiovisivo. Sono sgravi fiscali al 15% l’anno scorso, che ora dovrebbero arrivare al 20-25%. Con la legge e i decreti Renzi-Franceschini il prodotto italiano può crescere. Primo, perché si elimina il criterio di discrezionalità e l’accesso ai contributi è per tutti; secondo, perché il produttore resta proprietario dei diritti, il che cambia il rapporto con il network tanto più esteso all’on demand. Insomma, avere un sostegno finanziario ha un impatto anche sulla libertà e sui contenuti.
Prima – L’accesso al mercato per i doc e docufilm è difficile?
G. Giorgianni – Anzi, è un genere che riempie sempre di più i palinsesti delle reti e costa meno di altri. La tv pubblica dovrebbe valorizzarlo, per questo spero che la Rai abbia presto una struttura unica dedicata ai documentari, con una sua direzione. Esistono Rai Cinema, Rai Fiction e Rai Doc no? È assurdo.
Prima – Con Rai Fiction ha un rapporto preferenziale?
G. Giorgianni – Con Tini Andreatta lavoro benissimo, è una donna molto competente. Come lo è anche Daniele Cesarano capo della fiction Mediaset, o Paolo Del Brocco a Rai Cinema, ma lavoro bene anche con Andrea Scrosati di Sky e con Sky Arte. Insomma, Anele cerca di allargare i rapporti. E stiamo definendo l’ingresso in società di un partner finanziario, per avere una certezza di sviluppo.
Prima – Ora Anele quali progetti ha in cantiere?
G. Giorgianni – Stiamo realizzano altri quattro docufilm, stavolta su grandi donne: Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Krizia e Palma Bucarelli. Andranno in onda su Rai 3 in prima serata. Scegliamo contenuti importanti a larga fruibilità che possano attrarre i giovani e far conoscere loro la storia. Stiamo cercando le interpreti, ma parleranno anche i figli, i nipoti di queste grandi persone, perché la memoria sia proiettata nel futuro e non resti ancorata nel passato. È un ruolo di servizio pubblico che la Rai può svolgere in pieno.
Prima – Si concentra soprattutto sui documentari?
G. Giorgianni – No, Anele guarda anche ai prodotti di intrattenimento come “Dimmidite”, con il cantautore Niccolò Agliardi: storie di persone normali che si trasformano in canzoni. Stiamo montando il girato (regia di Stefano Vicario) e andranno in onda su Rai 1 in sei puntate da 50 minuti. Storie diverse: un affido, un ragazzo affetto da sonnambulismo, l’esperienza Made in carcere a Lecce che diventerà una canzone di Eugenio Finardi. Poi ci saranno i racconti di Gianrico Carofiglio, 10 minuti ognuno per Rai 2 dal titolo “The Passengers”, che gireremo tra la Puglia e la Sicilia. Con Mediaset sto producendo una fiction di otto puntate tratta dal libro di Alessandra Monasta, “La cacciatrice di bugie”.
Prima – E per il cinema? Secondo Carlo Verdone, il calo del 46% degli spettatori per i film italiani è dovuto al fatto che i giovani guardano le serie tv, molto ben fatte. È d’accordo?
G. Giorgianni – Sì, alcune sono fatte molto bene. Per me i produttori sono imprenditori della cultura, ma dovrebbero avere più coraggio. Con tanti giovani film maker il produttore deve avere la capacità di sintesi, scegliere e capire che la narrazione del Paese oggi passa alla fiction, dal cinema e dal web. Quanto a me, ho in cantiere un film di Giorgia Cecere che parla proprio di una donna produttrice. A febbraio sarà poi nelle sale “Pertini il combattente”, un film tratto dal libro di Giancarlo De Cataldo, che sarà una serie per Sky poi ritrasmessa dalla Rai.
Prima – Parliamo di Camilleri: l’incontro è nato a casa Sellerio?
G. Giorgianni – L’ho visto talvolta da piccola, ma l’ho conosciuto meglio alla Palomar, che produce “Montalbano”. In seguito gli ho proposto il progetto delle donne ed è stato contento di realizzarlo. Sa che sono la nipote di Elvira, cosa di cui sono felice, ma abbiamo rapporti professionali, così come con Gianrico Carofiglio, al di là della famiglia Sellerio.
Prima – Lei è molto legata alla Sicilia e alla sua famiglia?
G. Giorgianni – Sì, una famiglia enorme, il nonno perfetto, borghesia dai valori forti, mia madre che mi ha educato al volontariato. Siamo molto uniti, un vero clan, e io torno in Sicilia con queste certezze. Però vorrei che si superassero certi stereotipi sul Sud. Anche “Gomorra”, grandissimo prodotto fatto e scritto molto bene, o lo stesso “Montalbano” hanno creato dei tipi sui lati negativi dei meridionali. La gente del Sud non è solo quello, manca un quadro completo.
Prima – Come pensa si possa riscattare questa immagine stereotipata?
G. Giorgianni – facendo vedere anche il bello le cose fatte, il coraggio. E poi vorrei che crescesse l’industria audiovisiva siciliana, visto che si girano tanti film, non solo “Montalbano”, ma non si costruisce nulla sul territorio, come invece è riuscito a fare Giovanni Minoli, per me un maestro, con “Un posto al sole” a Napoli, o come fa Apulia Film Commission. La Sicilia non esiste, invece così si creerebbe anche occupazione.
Prima – Con chi pensa di poter far nascere questo polo audiovisivo? E come si potrebbero arginare le infiltrazioni delle mafie?
G. Giorgianni – Aprendo un dialogo fra le istituzioni, a partire dalla Regione, e gli imprenditori che potrebbero produrre di più sull’isola, mentre la Rai può essere un partner. Vanno create le condizioni e aperto un tavolo, ne ho già parlato con il ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti. E per arginare la mafia ci vogliono delle posizioni nette. Abbiamo girato “Donne” per tre settimane fra Agrigento e Siracusa in tutta tranquillità. Certo, l’esperimento di “Agrodolce” fatto da Minoli non è andato bene, ma si può riprovare presentandosi con chiarezza e determinazione.
Prima- È difficile per una donna imporsi nel mondo dei produttori?
G. Giorgianni – È un mondo molto maschile, anche macho vecchio stile. Eppure ci sono donne bravissime, oltre a Tinni Andreatta, Laura Carafoli e Discovery, Matilde Bernabei con la Lux Vide e altre. Anche se per noi è più faticoso. Ma è importante che ci siano voci femminili e che, al di là della denuncia e della cronaca, si racconti in positivo cosa fanno le donne. Perché alla base della violenza e dei femminicidi c’è una forte questione culturale. Anche questa è una grande opportunità per i produttori.