di Francesca d’Angelo
Tivù – giugno 2020
Il lavoro con Apa a sostegno dell’industria del documentario. La valorizzazione delle donne dietro le quinte e davanti allo schermo. Il rilancio del Mezzogiorno nel contesto audiovisivo.
La fondatrice della società di produzione racconta a Tivù progetti e obiettivi del 2020.
I documentari sono il territorio d’elezione di Gloria Giorgianni. Ma anche la sua nuova priorità. Quest’anno infatti Apa — Associazione produttori audiovisivi ha affidato alla produttrice di Anele, già consigliere del Direttivo, la delega sul genere documentario: un mandato che arriva in un periodo caldissimo, segnato (nell’immediato) dall’emergenza sanitaria ed economica del coronavirus nonché (a fine anno) dal varo del a Direzione Produzione Documentari della Rai guidata da Duilio Gianmaria (cfr. lo speciale su Tivù di maggio). Due eventi che aprono nuove prospettive, sebbene apparentemente di segno opposto, e che spingono la produttrice a vedere il 2020 come «l’anno zero del documentario»: un genere che ha dimostrato di poter fare la differenza sul mercato straniero, sia in termini di linguaggio che di penetrazione, ma che in Italia deve ancora fare il grande salto. Ed è proprio per colmare questo gap che Giorgianni si è imposta di lavorare.
Da dove intende cominciare per riuscirci?
Esattamente da quello che manca, ossia da una fotografia del settore. Con Apa stiamo ragionando sulla possibilità di realizzare una ricerca sul genere documentario: lo studio ricalcherebbe quanto già fatto in precedenza con la fiction e l’intrattenimento, mettendo in evidenza i volumi di produzione, il giro d’affari generato, a collocazione oraria, le tipologie di contenuti e di realtà produttive. Come è noto, infatti, nonostante l’attuale incremento dei documentari in sala e sulle piattaforme on demand, il genere è ancora gestito in maniera un po’ disordinata, inframezzato tra i diversi interlocutori. Riteniamo quindi che sarebbe molto utile avere dei dati di riferimento, che traccino una linea da cui partire, tanto più che a oggi non è noto il budget che i servizio pubblico alloca per genere. Sappiamo benissimo che la Rai non può, da un giorno al ‘altro, disporre a stessa entità di investimenti stanziati dagli altri servizi pubblici stranieri: quello che ci preme è che la Direzione documentari non consideri queste produzioni come contenuti di nicchia, ma che abbia un approccio industriale al settore. Come Apa stiamo dialogando molto con il Direttore di Rai Doc Duilio Giammaria e Andrea Sassano (direttore Risorse televisive e artistiche Rai, ndr.), i quali riescono a coniugare l’approccio editoriale con quello industriale necessario a questa Direzione, su questi temi, ma anche su formule contrattuali più semplificate, per rendere i documentari dei prodotti ancora più fluidi. Il che tornerebbe utile soprattutto in questo periodo di pandemia.
ln che modo?
Ad eccezione dei grandi progetti, i documentari sono tendenzialmente più facili da realizzare rispetto ai film e alle fiction, pertanto potrebbero rifornire maggiormente i palinsesti in questo periodo. Nell’intervista che ha rilasciato al vostro giornale, Giammaria parlava di tempistiche lunghe almeno un anno per quanto riguarda la produzione di documentari. n realtà, non è sempre così: dipende dal prodotto. Esistono titoli più snelli, motivo per cui stiamo per esempio chiedendo alla Rai di rivedere ‘idea dei contratti di attivazione per questo genere: se ha senso prevederli per le grandi produzioni, sono invece uno step superfluo, se non addirittura controproducente, negli altri casi. C’è però un aspetto, su tutto, che mi sta particolarmente a cuore: dalle dichiarazioni rilasciate a voi, sembrerebbe che la Direzione Documentari voglia valorizzare soprattutto le risorse interne Rai. Spero vivamente che non sia così. Esiste infatti una filiera di produttori di lunga esperienza che va promossa e sostenuta, dandole quello spazio di azione che finora ha avuto, ma in modo molto episodico e disordinato. L’auspicio è che la Direzione svolga la stessa funzione di crescita e rilancio del
settore indipendente che ha avuto Rai Fiction per quanto riguarda il mercato seriale, cioè un volano di crescita per una serie di società di produzione che oggi sono leader del settore anche nel mercato internazionale. La sfida che ci attende è molto importante perché esiste una generazione di produttori che, grazie a questa nascente direzione del servizio pubblico, potrebbe diventare una solida realtà industriale e culturale sia nel nostro Paese sia nel mercato globale.
Quanto è importante che su questi punti il comparto faccia fronte comune?
È decisivo, tant’è vero che come Apa ci stiamo adoperando intanto per aprire un tavolo di confronto con il Mibact e la Rai, perché riteniamo sia molto importante soprattutto in questo momento provare a ragionare sul settore dei documentari insieme ai principali interlocutori pubblici. Ritengo inoltre che sia auspicabile organizzare un tavolo con tutte le altre associazioni di categoria, a cominciare da Doc/it. Personalmente sono sempre stata favorevole alle discussioni allargate: trovare punti di convergenza e interessi comuni potrà solo rafforzare il settore. Come anticipavo, sono convinta che il 2020 Sia ‘anno zero del documentario, proprio grazie alla nascita del a Direzione Rai Doc: c’è la possibilità concreta di consolidare e sistematizzare il settore, e tutti possiamo dare un contributo importante dando un messaggio al tempo stesso politico e culturale. La pandemia ha dimostrato quanto sia fondamentale il ruolo del comparto audiovisivo: i film, le serie tv, ma soprattutto i documentari raccontano la realtà, la memoria e il territorio, ed esportano la narrazione e l’immagine del nostro Paese in tutto il mondo. È quindi sempre più importante mettere a fuoco i contenuti e creare un’industria italiana a sostegno di una corretta ed equilibrata narrazione del nostro Paese, che non dia spazio solo al racconto di un’Italia furbetta o ancor peggio criminale
Sta dicendo che l’immaginario esportato avrebbe in parte condizionato le decisioni politiche?
È importante raccontare l’Italia nel modo giusto: gran parte della popolazione è composta da persone creative e serie, che esportano e si danno da fare. Gente che parla poco e lavora molto: forse per questo sono così poco rappresentate in tv… Per esempio, sarebbe interessante dare visibilità alla nostra imprenditoria che in piena emergenza Covid- 19 ha dato il meglio di sé, facendo fronte comune e tutelando, per la gran parte, i propri dipendenti, Come produttrice di Anele, per esempio, ho dato priorità alla tutela dei miei collaboratori ma, mi creda, non sono certa stata l’unica. Siamo stati in molti e questo, a mio avviso è il segno che a società civile Italiana e quel a imprenditoriale in questa situazione emergenziale hanno dato — fino ad oggi – un’eccellente dimostrazione di solidità e soprattutto di comunità e questo non era poi così scontato.
Tutto lascerebbe pensare che anche lei, come molti produttori, accarezzi l’idea di una docu sulla pandemia italiana…
Sinceramente non sento il bisogno di un racconto ulteriore reattivo a questo momento così drammatico, una volta che l’avremo passato definitivamente. Penso che l’informazione abbia fatto un lavoro importante in termini di cronaca e di approfondimento. Mi sono anche arrivate un paio di proposte da alcuni autori, ma non sono la persona giusta perché non voglio ripercorrere i momenti più difficili che abbiamo passato, ma trarne delle conseguenze il più possibile propositive. Sono certa però che gli effetti dell’emergenza saranno ricompresi, nei fatti e nei contenuti, di tutto quel o che andremo a girare d’ora in poi. Alla fine di tutto saremo cambiati: in meglio o in peggio non lo so, ma saremo comunque diversi.
Quindi, verso quali altri filoni siete orientati?
ln questa fase di stallo dei set, come Anele stiamo spingendo molto sullo sviluppo e la scrittura. In particolare ho dato vita a quello che mi piace chiamare un “pacchetto rosa”. una serie di docu che raccontano l’universo femminile, le eccellenze e le sue protagoniste. Il pacchetto comprende la nuova docu-sene di 6 puntate, La compagnia delle donne per Rai Storia. Si ispira a format Buonasera presidente: in quel caso Immaginavamo di intervistare i Presidenti della Repubblica che hanno segnato la storia, qui invece le interviste impossibili saranno rivolte a personaggi femminili della nostra storia come ‘attrice Vera Vergani e Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Foco ari. Procede anche Illuminate 3: speriamo di poter iniziare a girare a fine giugno, in modo da garantire la messa in onda a settembre, come da accordi con la rete. ln queste nuove puntate accenderemo i riflettori su altre quattro grandi donne, ossia Sandra Mondaini, la poetessa Alda Merini, l’architetto Gae Aulenti, il soprano Renata Tebaldi. Quest’ultima sarà raccontata da Serena Autieri, così come e altre saranno raccontate da giovani attrici Italiane. ln autunno speriamo di poter iniziare anche le riprese del tv movie dedicato a Carla Fracci: un’atra eccellenza a femminile assoluta, di umili origini, che si è costruita da sola grazie alla propria determinazione. Tra l’altro è una delle poche ballerine internazionali a essersi presa una pausa per diventare mamma, per poi tornare sulle scene conciliando famiglia e successi, Lato cinema, siamo al lavoro anche su Sulla giostra: un film di Giorgia Cecere che racconta il ritorno alla propria terra natale di una giovane produttrice di cinema e tv. Oltre al “pacchetto rosa”, ci tengo molto a ricordare che stiamo anche lavorando alle nuove puntate di Romanzo italiano, il programma sugli scrittori italiani e i territori ideato da Camilla Baresani e Paolo Giaccio e condotto da Annalena Benini, e a una nuova docu-serie ispirata al libro Detective dell’arte di Roberto Riccardi (Rizzoli editore). Si tratta di una coproduzione internazionale (siamo in trattative con gli inglesi) in merito al recupero di celebri opere d’arte trafugate. Sono casi molto interessanti, che coinvolgono i re parto Tpc — Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri, ma anche le forze di Polizia di tutto il mondo. Il progetto ha un respiro talmente grande e internazionale che stiamo valutando di realizzare anche una fiction: ne stiamo discutendo con un produttore tedesco.
Perché ha deciso di investire così massicciamente su un filone, già ampiamente battuto, come quello dei racconti al femminile?
Ne abbiamo bisogno. Prima di tutto e donne non ricoprono ancora ruoli apicali, soprattutto in Ita ia, che ha il triste primato di avere il minore numero di occupate. La stessa task force per l’emergenza Covid- 9 ‘ha dimostrato, anche se poi il presidente del Consiglio Conte si è rivelato sensibile alla causa. Per non parlare, più in genera e, delle differenze retributive. E invece importante valorizzare i talenti delle donne, in tutti i campi, senza per questo obbligarle a muoversi in un feudo di quote rosa o a sgomitare per conquistare il proprio posto al sole, sarebbe sufficiente garantire la parità di condizioni e asciar prevalere sempre e comunque la competenza e il merito. ln secondo luogo, è importante riequilibrare una narrazione al femminile che è sempre andata nella direzione opposta: mi riferisco all’immaginario degli anni 50, che prevedeva un certo tipo di donna, moglie e madre spesso ‘appendice” del proprio uomo e futuri distinti per la donna intelligente e la donna affascinante. La bellezza è un valore e l’avvenenza non può e non deve essere vissuta come una colpa e non è alternativa al merito e alla competenza. Nel mio piccolo, come produttrice cerco di promuovere le donne, assoldando autrici, attrici e registe: non sempre è facile perché in alcuni casi, come nel comparto del a regia, ci sono poche professionalità in rosa. Tuttavia, non è impossibile. Due delle puntate di Illuminate 3 saranno per esempio dirette da Maria Tilli che con Anele ha già realizzato di recente anche il documentario Dentro il Quirinale (in onda su Sky Arte e sull’on demand Sky a partire dal 2 giugno).
So che questa non è la sua unica battaglia: è vero che, da brava siciliana, si sta anche adoperando per rilanciare il Mezzogiorno?
Nonostante sia spesso il set di molte fiction di successo, il Sud d’Italia non ha ancora sviluppato una propria struttura industriale legata all’audiovisivo. Le eccezioni si contano sulla punta delle dita: penso alla rodata Apulia Film Commission o alla macchina perfettamente oliata di Un posto al sole, ideato da Giovanni Minoli che per primo ha avuto questa intuizione di carattere industriale e culturale insieme. Per il resto, però, c’è ben poco. Ho quindi proposto di dare vita a una Film Commission unica per tutto il Mezzogiorno o meglio, una sorta di agenzia per tutto il territorio, guidata da una governance snella e competente, che si interfacci con i committenti nazionali e stranieri. L’obiettivo è creare un sistema audiovisivo permanente: parlo di studi, società di produzione, laboratori di post produzione… L’agenzia avrebbe inoltre l’obbligo di fare formazione in loco, per arginare la fuga dei cervelli. Di tutto questo ne gioverebbero le stesse storie: essendo queste concepite e realizzate da chi appartiene a quelle terre, non sarebbero più un crogiolo di stereotipi bensì un racconto di identità. Sarebbe una svolta decisiva: nei tavoli nazionali e internazionali la rappresentazione del Mezzogiorno come terra di malaffare, povera e indolente, diventa a volte un alibi per il disinvestimento. E un pregiudizio che va estirpato perché il Sud è ricco di persone creative, talentuose, che lavorano e sono dei grandi imprenditori.