Di Anna Rotili
Prima Comunicazione – 1° maggio 2020
All’inizio del suo mandato in Rai, l’ad Fabrizio Salini l’ha sdoganata ed è il gol della lobby dei documentaristi, che da anni reclamavano uno sportello per la valorizzazione del loro prodotto. La factory, che si chiama Rai Documentari, è finalmente nata, ma a portarla al regime non sarà una passeggiata per il neo direttore Duilio Giammaria, tenuto conto che in Rai si usa il doc come un genere di seconda mano, a dispetto della sua modernità e della fortuna crescente nei palinsesti delle televisioni internazionali e delle piattaforme dello streaming. La famiglia Angela, con le sue super produzioni, nel contesto Rai è la classica eccezione che conferma la regola.
“Siamo la prima direzione del nuovo piano industriale che parte e per questo siamo considerati un vero numero zero, tanto che è stato istituito un tavolo aziendale per definirne perimetro e budget”, racconta Duilio Giammaria. “Il cantiere è aperto a breve presenterò il piano editoriale con l’idea di essere u editore capace di portare il documentario nei palinsesti Rai di ogni ordine e grado, dal prime time di Rai 1 ai tanti slot delle reti generaliste, delle reti specializzate e di RaiPlay. E siamo già operativi con primi progetti di collaborazione con France Télévisions, Arte e l’americana Pbs”. Ideatore e conduttore di “Petrolio” (il laboratorio che ha incubato Rai Documentari), Giammaria produce da vent’anni documentari, una passione maturata quando faceva l’inviato di guerra del Tg1. Il suo punto di forza sono i molteplici rapporti in ambito internazionale, e particolarmente stretti quelli con France Télévisions e Arte.
Dall’area internazionale si è salutata con favore la mossa della Rai e Rai Documentari sarà super special guest dalla kermesse/fiera del doc mondiale che è il Sunny Side of the Doc, che si tiene ogni anno a giugno a Rochelle.
Con France Télévisions, che nel racconto del reale investe 100 milioni, si coproduce “Under the Volcano”, un doc di tipo scientifico sociale con un costo medio alto, che può andare dai 350 ai 650mila euro, che racconta perché alla gente non spaventa vivere alle falde di un vulcano. L’operazione è molto vantaggiosa per le due tv pubbliche che finanzieranno solo un terzo del budget, il resto è coperto dagli apporti diretti dei due produttori, l’italiana MyMax e la francese Artline Films. Nel piano di Giammaria “Under the Volcano” è previsto per occupare uno slot di prima serata su una rete generalista, la coproduzione con Parigi ne aumenterà la visibilità sul mercato e così un’azienda italiana verrà catapultata in un circuito internazionale. Un modello di scuola per il futuro.
Citiamo anche, su un altro versante, “Diario dell’emergenza”, un istant movie su questi mesi di lotta al virus, che sarà presto in onda.
La nuova direzione, ancora in fase work in progress, avrà un’organizzazione leggera fatta da una ventina di persone, alcune travasate da “Petrolio”, per presidiare i sottogeneri, la produzione esterna e la produzione interna. In una logica da Bbc, Giammaria vuole valorizzare le competenze presenti a Viale Mazzini.
La Rai deve puntare a diventare un marchio della divulgazione, come è il servizio pubblico inglese, e del documentario d’autore, come il francese Arte. Il documentario è però molto presente sulle sue reti: tra acquisti, pre acquisti e produzioni, la Rai investe una cifra dai 15 ai 20 milioni. Tutta roba per la maggior parte comprata (e magari smembrata all’interno di programmi) e solo in minima parte (20%) di produzione, un’attività sparpagliata tra Rai 1, Rai 2 e Rai 3, Rai 5 e Rai Scuola, nonché Rai Cinema. La società dei cinema finanzia il documentario di creazione da distribuire nelle sale cinematografiche. Peccato che in Italia abbiamo poco mercato.
La credibilità di Rai Documentari starà nella capacità di mettere in ordine questa filiera cominciando dall’ottimizzazione e dalla valorizzazione del magazzino, spostando progressivamente l’ago della bilancia sulla produzione per guidare l’evoluzione del prodotto italiano e l’industrializzazione del comparto.
Molto dipenderà da quanto l’azienda è decisa a sostenere la nuova factory, al di là delle dichiarazioni di intenti, la cartina di tornasole sarà il budget che le verrà assegnato. Nel piano industriale per il documentario è previsto un investimento di 40 milioni spalmato sul triennio. Ma quest’anno, in cui la direzione non sarà pienamente operativa con il piano industriale sospeso e la sicura contrazione del budget pubblicitario, si calcola che la cifra degli investimenti sarà inferiore. Ma quanto? Si chiedono i produttori di doc. “Alla Rai abbiamo chiesto di conoscere i dati dell’investimento e della programmazione del 2019 e anche di conoscere il budget della nuova direzione”, dichiara Claudia Pampinella, presidente di Doc/it e produttrice di Talpa Produzioni. “Sarebbe molto importante se ci venisse rilasciata una lettera di interesse, anche prima di accordi economici su progetto, per presentarci dai partner esteri con la prova che la Rai è al nostro fianco”.
Al tavolo con Salini e Giammaria c’è anche Apa (Associazione produttori audiovisivi: ndr), rappresentata da Gloria Giorgianni, produttrice di Anele, che dice: “Il punto dirimente per noi è il budget: si dovrebbe pianificare un investimento su più anni, e per quello in corso tenderei ai 5 milioni. Siamo società piccole, le più a rischio e ormai quasi le uniche non partecipate dalle multinazionali. La Rai ha la responsabilità di aiutaci a crescere per dar linfa non solo all’industria, ma anche al racconto italiano”.