di Maria Elena Barnabi
Gente – 9 ottobre 2021
Carla Fracci, Susanna Agnelli, Mariangela Melato. Donne importanti che hanno lasciato il segno del nostro Paese. E se continuiamo a parlare di loro, un po’ è anche grazie a questa 46enne ragazza normanna di Sicilia che vedete nella foto a destra. Lei è Gloria Giorgianni, fondatrice di Anele, la casa di produzione di documentari, film, programmi Tv che fa del racconto delle donne e della cultura uno dei suoi cardini. In questi giorni al cinema Sulla giostra con Claudia Cerini (vedi intervista a pag. 80). A novembre a andrà in onda su Rai 1 Carla, che racconta la straordinaria storia della Fracci, la grande étoile scomparsa lo scorso 27 maggio, mentre è in iniziato il 30 settembre su Raitre Illuminate 4, che narra la vita di quattro grandi italiane: Mariangela Melato, Susanna Agnelli, Marta Marzotto e Fernanda Pivano.
Perché hai scelto queste storie?
«Sono donne con una vita incredibile, complicala, piena di sfumature. Carla Fracci veniva da una famiglia umile e mi ha raccontalo che si allenava nove ore tutti i giorni. Marta Marzotto amava il bello, ma dietro alla mondanità e al sorriso c’era il dolore per la perdila della figlia. E Susanna Agnelli è stata la prima donna Ministro degli Esteri in Italia, arrivata lì senza essere la “signorina Fiat”. Sono ragazze che si sono fatte strada da sole, a fatica».
Per te gli inizi sono stati difficili?
«Quando mi sono licenziala dalla Palomar, che aveva portato la saga di Montalbano in Rai, tutti mi davano della pazza. Una che dice che vuole fare l’imprenditrice viene sempre guardata con sospetto. Avevo trent’anni, ero una donna, ma dove volevo andare, che volevo fare?».
Di te che dicevano?
«Che siccome avevo perso mia mamma un anno prima – la Sla me la portò via in quattro anni – ero andata fuori di testa, che era solo ”una fase” e che sarebbe passata presto. Non mi prendevano sul serio».
E invece come stavano le cose?
«Invece ci pensavo da tempo: volevo creare la mia azienda, raccontare cose per me giuste. Era un’esigenza intellettuale».
Sei sempre stata così determinata?
«Sempre, anche da ragazza. Ero ribelle, indipendente. I miei erano commercianti borghesi di Palermo, non ci mancava nulla, ma io a 17 anni iniziai a lavorare per avere soldi miei. Ricordo ancora la gioia provata quando mi sono comprata un paio di jeans con la mia paghetta. Mio padre si offese tantissimo, non capiva».
Tua mamma invece capiva?
«Eccome. Era diventata madre giovanissima, ma non ha mai rinunciato a studiare: lo faceva di notte e si è presa due lauree, in filosofia e in lettere. Mi diceva sempre: “Gloria, fai le cose in cui credi”. Le ho dato retta. Anele è Elena al contrario, il suo nome. E vorrei tanto portare in Tv il racconto delle persone che han vissuto la sua malattia, delle famiglie che accudiscono i loro amati, di tutto questo mondo fatto di dolore, addii, dolcezze».
Tua zia era Elvira Sellerio, che con il marito ha fondato l’omonima casa editrice. Venire da una famiglia ricca e piena di cultura ti ha avvantaggiala?
«Non con i soldi: per fondare Anele ho usato la mia liquidazione. Per il resto, fin da piccola sono entrata in contatto con i libri e la cultura. Ricordo che quando ero bambina mia zia mi leggeva Gabriel Garcia Marquez e Luigi Pirandello. Mi ha instradato alla lettura come mondo che i dà gli strumenti per vivere».
È per queste figure femminili che hai deciso di parlare soprattutto di donne?
«Sì, la mia vita ha funzionato grazie a loro. Mi hanno educata, cresciuta, resa libera. Le donne sono figure centrali nella vila di molte persone. Solo che spesso la società non riconosce i loro meriti».
A vantaggio di chi?
«Degli uomini. Mia zia mi raccontava che all’inizio le sue idee in casa editrice erano accolte solo perché lo scrittore Leonardo Sciascia le presentava come sue. Lo stesso succedeva anche all’astrofisica Margherita Hack, cui abbiamo dedicalo una puntata di Illuminate: faceva firmare le sue prime ricerche da colleghi, altrimenti non sarebbero andate avanti».
Una cosa così ti è mai capitata?
«La società è mia, quindi no. Però mi capita spesso di essere l’unica donna al tavolo».
Com’è stare in un mondo d maschi?
«Mi sono indurita. A volte per far valere le mie idee ho dovuto alzare la voce. E sai cosa mi hanno rinfacciato?».
Fammi indovinare: che eri una donna autoritaria?
«Esatto. Però la società è mia, i soldi li metto io, il lavoro l’ho fatto io. Avrò diritto a dire la mia, o no? A un maschio che fa così mica gli rifacciano niente, ci scommetto».
Cos’altro ti rinfacciavano?
«I tacchi. Troppo ricercata, dicevano. Però io sono piccolina, e mettere i tacchi mi piace. Così come amo vestirmi in modo femminile, mia mamma aveva una boutique, sarà quello. Ma è una cosa personale. Se faccio errori sul lavoro sono disposta a parlarne. Come mi vesto però, che c’entra?».
Oltre alle donne, uno dei tuoi argomenti preferiti è il Sud, protagonista del prossimo Donne di Calabria (a novembre su Rai Storia). Perché?
«Del Sud spesso si dà un’immagine distorta e io vorrei raccontarlo in un modo diverso, più contemporaneo e reale, insomma vero. Quando parlo di Sicilia, faccio sempre la stessa domanda a chi mi ascolta: ditemi il nome di una donna imprenditrice del Sud. Niente, vero? Eppure come me, ci sono tante realtà imprenditoriali, tanti uomini e donne che stanno lavorando per la loro terra. E io li vorrei raccontare tutti. Come è giusto».