di Maria Elena Barnabi
Il Messaggero – 12 marzo 2018
Ci sono due cose che vanno subito dette di Gloria Giorgianni, 41 anni, fondatrice di Anele, la casa di produzione indipendente che fa solo “cose di cultura”. La prima, la più evidente, è che è una bella donna, di quella bellezza raffinata dei normanni siciliani: bionda, occhi verdi, pelle trasparente. La seconda è che quando comincia a parlare, capisci perché fa quello che fa: ci crede. Il paragone con la zia, quell’Elvira Giorgianni Sellerio che insieme a suo marito e a Leonardo Sciascia fondò l’omonima casa editrice, viene spontaneo. E anche il pensiero che forse, l’essere amica di famiglia di scrittori famosi, Andrea Camilleri in primis, qualche vantaggio in termini di contatti a Gloria glielo abbia dato. Non a caso, uno dei suoi primi prodotti con Anele, fondata nel 2013 dopo una carriera nella Palomar di Carlo Degli Esposti, è Donne, una serie tv in 10 episodi da 10 minuti tratta dall’omonima raccolta di racconti di Andrea Camilleri (autore storico di Sellerio, anche se questa raccolta è edita da Rizzoli). L’esperimento, riuscitissimo, è andato in onda nel 2016 su Rai 1 dopo il tg della sera, facendo circa il 20% di ascolti.
Giorgianni, dica la verità: ha usato i soldi di famiglia per aprire Anele?
«Senta, io lavoro da quando ho 17 anni, a 22 anni ho lasciato Palermo e me ne sono andata a Roma da sola: lamia famiglia mi ha allevata alla ricerca dell’indipendenza e della libertà. Per fondare Anele ho usato la mia liquidazione della Palomar. E quando mi sono licenziata nel 2012, non c’è stato nessuno, a parte la mia famiglia, che ha creduto in me. Mi dicevano: “Ma che fai, sei matta, ripensaci”. Avevo perso mia madre poco prima, ed era già da un anno e mezzo che dicevo a Carlo Degli Esposti di darmi la possibilità di innovare. Lui non condivideva. Ho pensato che era il momento giusto».
Innovare in tv. Tradotto vuole dire?
«Con Gianfranco Carofiglio stiamo lavorando a The Passengers, un progetto simile a quello che abbiamo già fatto con Camilleri: 10 racconti brevi originali, trasposti in altrettanti film brevi, di 12 minuti che andranno su Rai 2».
Portare i libri i tv non è una cosa poi così nuova…
«È il modo in cui li porto a essere nuovo. Credo molto nei prodotti multipiattaforma: non solo in tv, ma anche on demand, dal cellulare, e in podcast, magari come prodotto radiofonico. Con The Passengers faremo anche prima un’uscita al cinema. Oggi abbiamo tante possibilità per avvicinare al mondo dei libri un pubblico, quello dei ragazzi, che fatica a leggere».
Con chi le piacerebbe lavorare, oltre a Carofiglio?
«Con Dacia Mariani. Con Michela Murgia. Con Alessandro Baricco. Ricordo ancora quando da ragazza, la domenica sera guardavo il suo “Pickwick”, il programma che parlava di libri. Fu un grande successo. La fiction, per me, ma in generale la televisione, deve avere l’ambizione di raccontare, di fare cultura, di essere coscienza storica. Un ventenne che conosco, un giorno, mi ha detto che Piersanti Mattarella era “il nome di una strada”. Capisce? Della sua storia di politico ammazzato non sapeva nulla. Da lì ho preso ispirazione per mettere in piedi quattro racconti di altrettanti uomini delle istituzioni uccisi: oltre a Mattarella, il giuslavorista Marco Biagi, il magistrato Vittorio Occorsio, il capitano Natale De Grazia».
E che ne pensa di chi fa solo intrattenimento in tv?
«Diciamo che alcuni programmi non sono di mio gusto, ma nella televisione l’intrattenimento è necessario, è giusto averlo. Anche io mi ci sto cimentando. Con il cantautore Niccolò Agliardi abbiamo fatto Dimmidite, 6 puntate di 50 minuti l’una che andranno su Rai l, in cui raccontiamo alcune storie pazzesche: un ragazzo sonnambulo che è rimasto semi paralizzato, una carcerata, una ragazza cresciuta in una casa famiglia… Per ciascuna storia, nascerà una canzone con i sei cantautori ospiti: Eugenio Finardi, Emis Killa, Chiara Galiazzo, gli Zero Assoluto, Fabrizio Moro e L’Aura».
Non le piacerebbe creare un Montalbano tutto suo?
«Si, ma a modo mio. Non fraintenda: Montalbano è un grande successo, Camilleri l’ha fatto crescere ed evolvere nel tempo e Carlo Degli Esposti ha saputo tenere tutta la squadra molto unita. Però la fiction vive in una realtà sopraelevata».
Intende la retorica del sud?
«lo sono di Palermo e sono andata via dalla Sicilia per lavorare. Mi mantengo da quando sono giovane. Ho una mia società. Come me tantissime altre ragazze lo hanno fatto. Eppure in tv non ci sono personaggi di donne meridionali che ci rappresentano. Purtroppo la narrazione del meridione è ancora fatta di tipologie: la violenza e il crimine da una parte, poveri che non riescono a uscire dal loro destino in una terra dannata dall’altra».
Sta dicendo che “Gomorra” non le piace?
«Tutt’altro, secondo me è la serie più bella della tv italiana. È molto ben scritta e ben girata. E poi la scelta fortissima di usare il dialetto, che ora ci sembra scontata, è stata geniale. Però, ecco: non esiste solo quel Sud. Vorrei una narrazione più contemporanea».
La parte più faticosa del suo lavoro?
«Trovare i soldi. La legge Franceschini che permette sgravi fiscali a chi produce italiano era molto necessaria nel nostro Paese. Oggi i grandi colossi internazionali della produzione cominciano a fagocitare tutto. Il rischio è di essere tutti uguali. Io voglio continuare a essere indipendente, voglio essere io a decidere cosa raccontare, magari anche la realtà italiana».
E decide sul famoso “divano del produttore”?
«Semmai della produttrice! Scherzi a parte, i divani dovrebbe essere tolti dagli uffici. Bisognerebbe mettere solo dei bei tavoli e qualche sedia, scomoda, da usare per le riunioni. Così tutto sarebbe più veloce».
Non ci sono molte donne nella produzione…
«No, e quelle poche sono molto combattive. Come Matilde Bernabei di Lux Vide, che stimo moltissimo. O come Maria De Filippi, che è anche un personaggio televisivo. In questo ambiente le donne sono sempre state più vallette e “bracci destri”. È necessario prendersi gli spazi. Sono determinata, ma è un mondo difficile».
Spieghi il difficile.
«Mi capita di fare riunioni nelle quali io sono la referente, ma i maschi parlano solo tra di loro. Oppure se dico che un’idea è mia, è così così. Se dico che è di un uomo, diventa geniale. Succedeva anche a mia zia Elvira: molte delle sue proposte, passavano per cose di Sciascia o di suo marito. E poi ci sono gli uomini che si prendono delle libertà».
Parla di molestie?
«Parlo di un approccio sgradevole. Che è stato subito rispedito al mittente senza problemi. Ma sul lavoro cose del genere capitano solo alle donne, sono uno sfoggio di potere. Alcuni uomini devono ribadire il loro ruolo. Molte cose dobbiamo fare ancora per ristabilire gli equilibri e un modo per farlo è raccontare storie di donne libere e indipendenti. Come faranno i nostri 4 docufilm che andranno su Rai 3: raccontano le vite di Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Krizia e Palma Bucarelli».
Quattro donne forti che non hanno avuto figli. Come lei.
«È una scelta mia».
O un prezzo da pagare per fare carriera?
«Semmai il prezzo da pagare è la durezza: quando si lavora in un mondo di uomini lo diventi. Per fare questo mestiere, per andare avanti, devi essere concentrata. Non voglio trascinare con me qualcuno che non l’ha scelto. Ma oggi per me è importante la libertà che mi sono conquistata».